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Una comunità che attende il suo Pastore: intervista a don Domenico Caruso, aspettando il nuovo Vescovo

Tra meno di dieci giorni, il 10 dicembre, il nuovo vescovo della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, il padovano don Giuseppe Alberti, il quale succede a monsignor Francesco Milito, inizierà il suo ministero in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro.

C’è tanta attesa tra i fedeli e tra i presbiteri: dopo tanti anni, la comunità rivive l’insediamento di un vescovo, e lo fa con speranza e con fiducia verso il nuovo pastore scelto da Papa Bergoglio.

Don Domenico Caruso, rettore della Basilica Madonna dei Poveri di Seminara, ci ha aiutati a capire al meglio il particolare momento di attesa che la Diocesi sta vivendo.

Secondo lei, don Domenico, qual è l’attesa che sta vivendo la comunità? Come si sta organizzando la Diocesi per l’ingresso del nuovo Vescovo?

«La nomina di don Giuseppe Alberti è stata accolta con grande entusiasmo e gioia. Ma questo avviene sempre quando viene nominato un nuovo pastore. La diocesi, attraverso un organismo creato ad hoc da monsignor Milito, una commissione interdipartimentale, ha messo in moto la macchina per tutto ciò che concerne l’arrivo e l’immissione canonica di monsignor Alberti nella cattedrale a Oppido Mamertina, sede della diocesi».

Secondo lei, sarà una successione difficile quella di monsignor Alberti?

«Le attese sono tante. La gente si aspetta soprattutto che monsignor Alberti guidi la comunità affidatagli con fraternità, che scenda per strada, incontri e si intrattenga con tutti, che arrivi nei “luoghi periferici” prima di altri e non per concorrenza ma per testimonianza evangelica». 

Che tipo di ministero sarà quello di Alberti?

«Sarà un ministero di profezia, perché porterà a compimento i cantieri aperti e, vista l’esperienza che lo accompagna, sopratutto l’esperienza di parroco, saprà rendere più visibile e spirituale in modo sinfonico i tanti carismi che arricchiscono le comunità della nostra diocesi. Tutto facile e semplice non potrà essere, non viviamo nel mondo delle favole. Siamo, comunque una bella Diocesi che cammina nel tempo. Certo c’è sia il grano che la zizzania, ma Gesù ci ha consegnato un compito meraviglioso che è quello di costruire la pace attraverso il perdono che è testimonianza del rRsorto». 

Quindi non basta essere un amministratore?

«È giusto che il vescovo sia un amministratore, ma non basta. Serve un evangelizzatore che condivida la gioia del Vangelo con tutti perché il governo di una chiesa non è nella moltiplicazione di convegni o tavole rotonde, il vescovo è testimonianza». 

Il nuovo vescovo è giovane, con tanta energia ed esperienze missionarie, secondo lei avrà una marcia in più?

«Ogni vescovo ha la sua singolarità e porta con sé il proprio bagaglio umano, spirituale, culturale e pastorale. Monsignor Alberti, penso, arrivi in diocesi con trepidazione e tanta emozione, è un veneto e da quanto abbiamo saputo i veneti, per molti aspetti “ci somigliano” perché amano la famiglia, le tradizioni, i rapporti personali. Poi si è presentato alla diocesi, tramite social, con molta simpatia e quanti lo abbiamo sentito telefonicamente, altri de visu a Padova, abbiamo avuto la sensazione di parlare con un padre che ama ascoltare». 

Come mai da Padova? In molti si pongono questa domanda…

«La Chiesa è universale. Non ha confini. È molto significativo questo. Dobbiamo comprendere sempre e meglio ciò che lo Spirito vuole dire alla Chiesa. L’importante è camminare insieme, condividere risorse, esperienze, anche nella diversità di idee e di prospettive. Questo, penso, ci aiuterà a riscoprire la bellezza della Chiesa di Cristo che è Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Universale».

Secondo lei i sacerdoti lo aiuteranno, visto che è la sua prima volta da vescovo?

«Certo che noi  presbiteri dobbiamo “aiutarlo” e non soltanto noi. La Chiesa non è solo dei preti. Ci sono i Diaconi, che rivestono un compito importante, i religiosi, i laici e questi ultimi non sono persone che “danno una mano”, ma uomini e donne che partecipano, con la loro collaborazione, alla missione della Chiesa. Sono coloro che testimoniano il Vangelo nei luoghi e nei contesti di ogni giorno, donando tempo, energie, capacità personali e professionali, che pensano insieme, camminano e lavorano dentro un comune progetto pastorale. C’è da comprenderne il senso vero della corresponsabilità. Ma queste cose le conosce bene Mons. Alberti, così come sà che è stato inviato per servire e per amare.

Lei conosce il nuovo vescovo personalmente?

«No, ma mi ha colpito una parola, mi pare detta durante un’intervista appena eletto vescovo della nostra diocesi: “insieme”. Credo che soltanto mettendo insieme tutte le forze e le energie si potrà costruire  qualcosa di buono, da soli non si va da nessuna parte e non si “vince”. Come in una squadra di calcio. Se i calciatori giocano senza pensare al resto della squadra rimarranno “isole” in campo… così come per una coppia di sposi, se ognuno va per conto proprio per quella coppia non ci sarà futuro ». 

C’è qualche momento particolare della liturgia durante la quale verrà consacrato vescovo più importante o significativo rispetto ad altri?

«Sono tanti i momenti. Uno più significativo dell’altro. C’è uno, ma questo è un mio pensiero naturalmente, che è quello quando il nuovo vescovo attraverserà l’assemblea per la sua prima benedizione episcopale, è mandato in mezzo alla gente per essere “bene-dicente”.  Sarà un modo di fare e di essere che da quel momento si ripeterà ogni volta che il Vescovo incontrerà i fedeli. La spiritualità orientale ritiene che le mani del vescovo siano fatte per benedire. Questo momento sarà accompagnato dal canto del Te Deum laudamus, l’antico inno che la chiesa innalza come ringraziamento nelle occasioni più importanti della propria vita: mentre il vescovo Giuseppe “dice-bene” di Dio alla sua gente, la stessa gente “dice-bene” a Dio per averle donato un nuovo pastore». 

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