Il Tribunale Collegiale di Palmi, in accoglimento dell’istanza presentata dai difensori, gli avvocati Giuseppe Alvaro e Francesco Calabrese, ha concesso ad Antonio Cutrì, 31 anni, di Sinopoli, gli arresti domiciliari, consentendogli così di lasciare la Casa circondariale di Vibo Valentia, dove era ristretto.
La decisione cautelare è intervenuta a pochi giorni dalla definizione del giudizio di primo grado, celebrato con le forme del rito ordinario, del procedimento denominato Spazio di Libertà, operazione che ha coinvolto 14 soggetti ritenuti responsabili a vario titolo dei delitti di partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, favoreggiamento personale del latitante Giuseppe Crea, classe 1978, e di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale nei confronti del latitante Giuseppe Ferraro, classe 1968, catturati il 29 gennaio 2016 dagli agenti delle strutture investigative della Polizia di Stato.
Antonio Cutrì era stato tratto in arresto il 5 luglio 2016 in esecuzione di un decreto di fermo emesso dalla Procura della Repubblica DDA di Reggio Calabria, in quanto indiziato del delitto di associazione mafiosa, nella qualità di partecipe, con lo specifico ruolo di curare e gestire la latitanza di Crea Giuseppe, procurandogli i beni materiali, i rifugi, assicurandone gli spostamenti ed i collegamenti con gli alti membri della cosca e con i familiari, facendo anche da intermediario tra Ferraro Giuseppe, già condannato all’ergastolo con sentenza irrevocabile e che trascorreva la latitanza con il Crea, ed i suoi familiari e gli altri membri dell’associazione.
Il giovane sinopolese, che sceglieva di essere giudicato con il rito ordinario, veniva rinviato a giudizio dal GUP di Reggio Calabria davanti al Tribunale Collegiale di Palmi (Presidente Grillone, Giudici a latere Morrone e Maione), che, dopo un’articolata ed approfondita attività di istruzione dibattimentale, consistita nella escussione di numerosi testimoni e nella visione diretta dei filmati registrati dalle telecamere posizionate dagli inquirenti in prossimità del luogo ritenuto il covo dei due latitanti, emetteva sentenza il 4 marzo scorso a carico del Cutrì e degli altri tre coimputati che avevano seguito il rito ordinario.
Con riferimento alla posizione di Antonio Cutrì il Tribunale ha accolto le istanze subordinate avanzate dagli Avvocati Giuseppe Alvaro ed Antonio Attinà (sostituto processuale dell’Avvocato Francesco Calabrese), i quali avevano sostenuto che il reato associativo era insussistente e che i fatti dovevano essere inquadrati nei meno gravi delitti di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena. A seguito della riqualificazione del capo di imputazione il Tribunale ha condannato Antonio Cutrì a 4 anni e 6 mesi di reclusione, a fronte dei 7 anni richiesti dall’accusa. Tenuto conto della carcerazione già sofferta e del corretto comportamento processuale dell’imputato, i difensori hanno quindi richiesto, con parere favorevole del Pubblico Ministero (Dott. Ponzetta, la scarcerazione del Cutrì e l’ammissione agli arresti domiciliari in luogo distante da quello in cui si sono svolti i fatti.