L’evento teatrale ha riproposto una vecchia donna ebrea (la nonna di Oz) «immune dal fanatismo», che «portava con sé il segreto del vivere in situazioni aperte, entro conflitti non risolti, insieme alla diversità degli altri». I video proiettati, che hanno costantemente supportano la successione delle scene, sono stati tratti «tutti da immagini reali – ha spiegato Salvo – a partire da quelle degli attentati alle moschee ed alle sinagoghe (da parte dei terroristi americani e tedeschi) a quelle dei cortei oltranzisti a Gerusalemme, dalle immagini della guerra del Sinai del ‘67 a quelle di donne e ragazzi kamikaze». Unica invenzione: il lavoro di coordinazione e sintesi che ha prodotto l’intera drammaturgia.
«Troppe volte – ha concluso il regista – non ci accorgiamo di essere dei “fanatici”, rendendoci conto troppo tardi di essere ad un passo dall’integralismo». Lo spettacolo ha cercato di dare degli utili consigli circa gli antidoti che potrebbero arrestare l’avanzata di “un certo tipo di fanatismo”: Oz, infatti, individua nel “senso dell’umorismo” e nel “saper comprendere ed accettare le differenze”, i rimedi ad una chiusura mentale che può diventare pericolosa per qualsiasi Stato democratico, anche d’occidente.
Francesco Comandè