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Sequestro area Coopmar: la nota del presidente

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Riceviamo e pubblichiamo:
In riferimento alla notizia comunicata a mezzo stampa dalla Capitaneria di Porto di Gioia Tauro,
circa il ritrovamento di numerosi rifiuti speciali, pericolosi e non; dunque il sequestro di un capannone in concessione alla Coopmar SC; la scrivente Coopmar, con questa nota, vuole tranquillizzare tutti i terrorizzati lettori e stigmatizzare
i fatti riconducendoli al loro reale valore.

Innanzitutto vogliamo evidenziare che noi ci occupiamo solo di rizzaggio container, come ben conoscono tutte le Istituzioni che controllano il porto di Gioia Tauro, Capitaneria di Porto compresa.

Tale attività non comporta il bisogno di mezzi e attrezzature degne di un cantiere per la costruzione di una centrale nucleare, ma si concretizzano nell’uso di due muletti, un pulmino nove posti e di una piccola fiat punto. Come fa un’azienda del genere a produrre migliaia di litri di qualunque cosa per
poi sversarla in un canalone?

La Coopmar non è un’impresa di manutenzione conto terzi: cio è provato documentalmente.

L’episodio segnalato circa la presenza di una piccola officina nella sfera dell’attività della società non
riconduce ad uso industriale e lucrativo di tale settore, ma soltanto a piccoli lavori di manutenzione delle nostre attrezzature che, solo per questioni di economicità, essendo la cooperativa in forte disagio economico, facciamo in proprio, potendo contare tra i nostri soci-dipendenti della presenza di alcuni lavoratori con abilità professionali adeguate.

La Coopmar non si occupa di trasporti: ovvero, sino al 2010 ci occupavamo di bunkeraggio di acqua potabile alle navi, e le due grosse cisterne in acciaio inox, visibili nella foto, servivano a questo scopo.

Tali mezzi sono in disuso, non vengono utilizzati da oltre 6 anni e già da tempo li abbiamo messi in vendita per uso non stradale. Uno è stato già venduto ad un’impresa agricola per la raccolta di acqua per irrigazione.

E che possiamo dire dei numerosi rifiuti “pericolosi” rinvenuti, che già nell’immaginario collettivo, a giudicare dalle telefonate che riceviamo, appaiono come migliaia di fusti di materiale radioattivo provenienti da Fukushima e Chernobyl?

Che si tratta di alcune marmitte smontate da mezzi che, un mese fa, sono stati distrutti da un incendio divampato con le erbacce nell’area incolta adiacente, e trasmesso agli stessi mezzi in disuso parcheggiati vicino. La cosa è stata accertata dato l’intervento dei VVFF di cui il relativo verbale.

Ci dispiace tanto dover sminuire la portata di un tale scoop giornalistico che potrebbe valere un premio Pulitzer, ma il fatto che in Italia lo smaltimento di un tubo di scappamento e di una pasticca freni, debba avere la stessa classificazione di pericolosità di una stecca di uranio arricchito esausto di
un sottomarino nucleare, può indurre incauti e impreparati commentatori e giornalisti a scambiare lucciole per lanterne, mettendo in crisi una cooperativa di lavoratori che sta facendo i salti mortali per sopravvivere.

I rifiuti non pericolosi afferiscono, invece, a due bidoni pieni di materiale ferroso, attrezzature rotte, cavi di acciaio e rifiuti di metalli che, assieme ai residui dell’incendio sopra descritto, sono in attesa di essere smaltiti, dopo le ferie di agosto, da una ditta specializzata di rottami.

La veridicità di tali affermazioni è data dalle foto e dai rilievi degli stessi militari intervenuti.

In ogni caso, tali rifiuti giudicati pericolosi e non, sono custoditi presso la sede della Coopmar, non sono stati trovati abbandonati e/o dispersi, molti di questi si presentano in avanzato stato di ruggine, cosa che denuncia chiaramente che sono lì da molto tempo, addirittura anni. Certamente non hanno
niente a che vedere con i liquami del canalone di San Ferdinando che hanno una natura completamente diversa e di cui deve essere ancora accertata l’origine.

E per finire l’antipaticissima congettura circa il rinvenimento di un tombino utilizzato “quasi sicuramente” per lo smaltimento di olii esausti da parte della nostra società:
innanzitutto non si tratta di un tombino costruito dalla Coopmar, come qualcuno potrebbe aver inteso, ma si tratta di una ragnatela di aperture, centinaia, ricadenti all’interno del porto e costruiti per il deflusso dall’acqua piovana.

Detti tombini non sono collegati al canalone di San Ferdinando, a cui riconduce la verifica intrapresa
degli organismi investigativi, ma sono, come tutte le infrastrutture che ricadono nella competenza dell’intera area portuale e aree industriali adiacenti, direttamente collegati all’impianto di depurazione di Gioia Tauro. Inoltre, nessuno dei tombini, si trova all’interno dell’area concessa alla Coopmar, ma all’esterno e di pubblico passaggio.

Il presidente
Oreste Tarantino

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