Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera inviata qualche settimana fa da Rocco Ruggiero a don Antonio Scordo in cui viene raccontata la storia del quadro della madonna di Santa Maria di Romanò:
Gent.mo don Antonio,
Un recente contributo (leggi l’articolo) dell’arch. Walter Bonanno – che ringrazio – mi ha fornito il tassello mancante per ricostruire la vicenda di un antico arredo sacro caro alla storia religiosa della città: il quadro della “Madonna di S. Maria di Romanò”.
Partirò da lontano, e se avrà la bontà di seguirmi, da testimone, racconterò la storia del dipinto che per oltre vent’anni è stato di mia proprietà.
I fatti sono questi:
Correva l’anno 1967, o 68? Non ricordo bene! ed io, insegnante di Educazione Artistica presso la scuola media di Dinami, assieme all’amico Girolamo Ventra, anche lui diplomato dell’Istituto d’Arte, ancora in cerca di prima occupazione, aprimmo uno studio in Piazza Silipigni, al Piano delle Fosse, dove allora abitavo. Mesi dopo, per arrotondare le spese dell’affitto aprimmo una scuola di disegno e pittura frequentata dai ragazzi del quartiere. Allo studio si associò poi l’architetto Angelo Nostro, non ancora laureato.
Nel Natale dell’anno che non so precisare (67 o 68?) io e Girolamo fummo chiamati dall’amministrazione comunale pro-tempore per allestire un qualche arredo urbano in occasione del Natale.
Decidemmo di realizzare su carta il prototipo di alcuni “Babbi Natale” e di un abete, da riportare poi su truciolato. Le sagome sarebbero state ritagliate dal falegname al quale eravamo stati indirizzati avente bottega in un basso fabbricato di via XXIV maggio, di fronte alla Società Operaia di Mutuo Soccorso. Le silhouette sarebbero state dipinte a tempera, una a una, e appese ai pali della pubblica illuminazione o ad altri sostegni.
Finito il lavoro, fummo ricompensati con la somma di lire centotrentamila, che Girolamo ed io dividemmo a metà.
Ritornati in falegnameria per ritirare l’attrezzatura lasciata in situ, il falegname (che per l’occasione chiameremo Tizio) ci fece vedere una vecchia macchina fotografica dell’ottocento con tre piedi e cuffia, sprovvista di obiettivo, e un quadro di una Madonna che la nostra sensibilità giudicò di ottima e pregevole fattura.
Scartammo l’acquisto della macchina fotografica, per mancanza d’interesse che ancora non avevamo maturato, e per l’ovvio motivo dell’obiettivo mancante.
Il dipinto era una tempera raffigurante una Madonna con Bambino, dallo sguardo dolce e fisso, nell’atto di abbracciare il Figlio, mentre il Bambino si aggrappava alla Madre come presago di destino futuro. Lateralmente, in alto, – vero pugno stilistico, quattro angioletti posticci, dipinti ad olio, con le mani protese verso la “Mater Romea” circonfusa dal colore dorato che avvolge il capo di Madre e Figlio. Sul lembo della veste, un rombo e un quadrato incurvato a forma di stella con al centro una specie di croce greca.
Nella parte centrale e inferiore del dipinto, una lunga fascia bianca con su scritto: “MARIA SS. DELLA ROMANIA”. Sul lato destro, a caratteri più minuti: A DEVOZIONE DI GAETANO CAPOLA 1871”.
Di non trascurabile rilevanza era il fissaggio della tela attaccata al telaio con chiodi di canna.
Dopo averla esaminata, il falegname Tizio ci disse che l’avrebbe ceduta per sessantamila lire. Breve consultazione tra me e Girolamo, e affare fatto. L’acquistammo in comproprietà: trentamila lire ciascuno. Di comune accordo, il quadro l’avrei tenuto io.
In quegli anni, il famoso contributo di don Vincenzo Francesco Luzzi: “Vita religiosa a Gioia in età moderna” era ancora da venire, e della Madonna di Romania se ne sapeva poco, o nulla.
Sapevo che a Tropea c’era un’omonimo culto, e perciò mi recai in quella parrocchia per vederne l’immagine. Troppo diversa dall’esemplare gioiese. Andai poi all’anagrafe per trovare notizie sul nome posticcio del dedicante: “Gaetano Capola”, ma non trovai nulla.
Qualche anno dopo, nel 69, se non ricordò male, a Reggio Calabria aprì i battenti l’Accademia di Belle Arti alla quale mi iscrissi nella sezione pittura.
Il mio insegnante di storia dell’arte era il Prof. Foti, Soprintendente del museo archeologico di Reggio Calabria, al quale feci vedere una foto del quadro. Il vecchio professore espresse giudizi lusinghieri sulla qualità del dipinto dicendomi che poteva essere opera di qualche monaco pittore dell’ottocento. Seppi poi che il prof. Foti non era proprio l’esperto più adatto per quel tipo di giudizio in quanto archeologo della protostoria.
Per saperne di più avrei dovuto ricorrere alla perizia di un esperto e ad analisi chimiche-spettrografiche, sicuramente costose. Non ne feci nulla. Alla fine, io e Girolamo decidemmo che il quadro doveva essere patrimonio di un unico proprietario. E così facemmo. Versai a Girolamo trentamila lire e il dipinto divenne di mia esclusiva proprietà. Per meglio custodirlo e proteggerlo dai tanti nipotini circolanti per la casa, lo appesi al muro dello scantinato. Poi un giorno, maneggiando maldestramente la legna del caminetto, un operaio ne sberciò la tela in prossimità del labbro della Madonna.
In quel locale il quadro restò per circa vent’anni durante i quali prestai servizio presso la scuola media di Rosarno ove ebbi modo di conoscere don Pino Varrà, collega benevolo, amico affettuoso, sacerdote di spiccate qualità umane, capace di parlare al cuore e alla mente, di alunni e parrocchiani. Con don Pino stabilimmo un rapporto di amicizia che ancora mi piace ricordare, e che mi onora. In particolare, ricordo l’omaggio più bello da lui ricevuto: una Bibbia con dedica, sempre bene in vista sulla mia scrivania. Seguirono momenti conviviali, altri più solenni, come l’ordinazione sacerdotale del compianto fratello Gregorio alla quale fui invitato.
Pochissimi anni dopo, nel 1985, divenuto arciprete della chiesa di San Giovanni Battista, nell’asilo delle suore don Pino ricevette in letizia i fedeli della comunità parrocchiale, colleghi ed amici.
Per l’occasione, dovevo fare qualche piccolo omaggio, un ricordo per ricambiare l’attestato di affetto che sempre aveva avuto nei miei confronti. Già! Ma cosa regalare a un prete? Dopo averci pensato un po’, mi ricordai del vecchio quadro della “Madonna della Romania” e lo portai in dono.
Anni dopo, ripensando al dipinto, volevo averne una foto che me lo ricordasse. Attrezzato di macchina fotografica andai a trovare don Pino e gli chiesi di fotografarlo. Staccammo la tela dalla parete della sacrestia, la portammo fuori, l’adagiammo sul gradino di un’abitazione antistante (visibile nella foto) e ne feci 11 scatti.
Gent.mo don Antonio,
ho ritenuto di dover comunicare a Voi, custode del patrimonio spirituale della città, che il quadro di “Maria SS: di Romania”, “catalogato nel 1891” e “smarrito al seguito del trasferimento della parrocchia presso l’attuale sede negli anni 20 del secolo scorso non è stato mai distrutto, nè disperso, essendo tuttora custodito nella chiesa matrice di S. Giovanni Battista di Rosarno.
Tanto vi dovevo.
Sicuro dell’informazione che vorrete darne a S.E. Mons. Vescovo, all’Ing. Martino, alla stampa, e ai fedeli tutti, porgo cordiali saluti e deferente ossequio.
Rocco Ruggiero
Gioia Tauro



