Non ci consola affatto dire ‘l’avevamo detto’. Avremmo preferito ancora una volta sbagliarci, ma conosciamo oramai fin troppo bene i meccanismi d’accesso, di scioglimento e di commissariamento dei Comuni, che seppur apparentemente complessi, operano, in realtà, in maniera molto asettica e perentoria.
Che a Gioia Tauro non ci fosse agibilità democratica, quindi, non è stata una nostra considerazione, ma solamente una constatazione, sono stati gli stessi Commissari a certificarlo nel momento in cui chiedono una proroga di sei mesi per terminare il loro ‘lavoro’. Un atto che per sua natura sembra avere più il profilo di una ‘comunicazione’ che di una ‘richiesta’.
Chi si è illuso o ha solo finto di farlo, illudendo però anche tanti ignari cittadini, che per sviste, imprevisti o ritardi istituzionali si fosse potuto andare al voto è stato solo un irresponsabile, e chi lo ha seguito un’ingenuo.
Piuttosto che scendere in campo, questa volta, i ‘professionisti’ della politica avrebbero dovuto pretendere chiarezza, chiarezza dal Ministro degli Interni, chiarezza dal Prefetto. Chiarezza per Gioia Tauro, una volta per tutte. Avrebbero dovuto pretendere la pubblicazione della relazione di scioglimento, sapere a che punto sono le inchieste giudiziarie che l’hanno provocato, chi sono i responsabili, cosa hanno fatto. Avrebbero dovuto pretendere con forza di sapere di chi sono le responsabilità che hanno prodotto il dissesto finanziario dell’ente, e sapere con esattezza perché non sono stati approvati gli ultimi bilanci.
In questo clima di confusione e di sospetto, di sospensione della democrazia, mentre anche la maggior parte dei partiti politici aveva scelto di aspettare, come nubi minacciose prima di un temporale sono riemersi dal passato gli stessi schemi e gli stessi personaggi che per decenni hanno tradito, svenduto, avvelenato e ridotto la nostra città ad una pattumiera.
Chi ha davvero a cuore le sorti di Gioia Tauro, oggi deve pretendere chiarezza da parte dello Stato, una radicale e definitiva bonifica del territorio e incominciare a mettere in seria discussione l’istituto dello scioglimento, che dopo tanti anni di applicazioni forse anche troppo frettolose ha prodotto solo disastri.
Ma poi, se non è accompagnato da condanne per reati associativi ne a danno di politici, né a dipendenti, da cosa è prodotto? Come si concretizza? Tecnicamente il voto di scambio dove comincia e dove finisce? Se la responsabilità penale è personale e i condannati perdono il diritto al voto, qual’è il ‘voto mafioso’? Se si da ai collaboratori di giustizia, la ‘possibilità di intervenire nel dibattito politico’, quand’è che sono credibili?
Credo che siano questi i temi sui quali interrogarsi, senza fare finta che la mafia non esiste, ma senza nemmeno criminalizzare ‘a convenienza’ la maggior parte del territorio, auto chiamandosi fuori perché ‘tesserato’ con l’antimafia.