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Palmi: una Casa, tanta Cultura e… poca cura

Se dovessimo provare a dire quali sono tutte le cose che ci vengono in mente nel sentire pronunciare o nel leggere la parola cultura, con molta probabilità penseremmo all’insieme delle conoscenze di ciascun individuo, al complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche che caratterizzano la vita di una società. Se fossimo archeologi o amanti della storia dell’arte, il nostro pensiero andrebbe a tutti gli aspetti visibili di una civiltà, quali i manufatti urbani, gli utensili della vita quotidiana e gli oggetti artistici.

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Cultura è tutto questo ma, in senso più ampio, comprende quei comportamenti e quegli atteggiamenti, quegli stili di vita di una comunità improntati sul rispetto reciproco, dei luoghi e delle cose.

A Palmi c’è un luogo che porta nel suo nome la parola cultura, ed è l’edificio intitolato allo scrittore e giornalista Leonida Repaci , quella che tutti conosciamo come Casa della Cultura.

Un museo etnografico, un Antiquarium, una pinacoteca, una biblioteca comunale, un museo musicale, una gipsoteca e una Sezione dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria. La Casa della Cultura di Palmi è tutto questo, un luogo che non potrebbe desiderare di custodire beni più preziosi di quelli che si trovano al suo interno. Necessita, sì, di un intervento di ammodernamento ma il valore dei beni custoditi rimane indiscutibile.

Ma quel luogo è e possiede anche altro.

Proprio ieri pomeriggio, nel corso di un convegno che si è svolto nell’Auditorium, abbiamo fatto una terribile scoperta.

Entrando in bagno, infatti, abbiamo trovato i locali sporchi, le pareti ammuffite, polvere e calcinacci dappertutto, scrivanie e tavole di legno buttate a terra. E un lavandino otturato e colmo di acqua nera che emanava un odore nauseabondo.

E non è tutto, perché guardando fuori da una delle vetrate che dà sul giardino, abbiamo trovato una sorta di discarica: ci sono la case di un vecchio computer, album, fogli, trofei, apparecchi elettronici e altro ancora.

Ora, potremmo ipotizzare che il lavandino si sia otturato nel pomeriggio di ieri e che non sia stato possibile intervenire per questioni di tempo (in questo caso sarebbe bastato chiudere il bagno rendendolo inaccessibile); più difficile credere che la scarsa pulizia dei servizi igienici non sia stata eseguita per ragioni legate ai tempi stretti. Impossibile invece pensare che quel materiale non sia stato buttato fuori intenzionalmente e che sia lì da poco tempo.

C’è modo e modo per disfarsi dei materiali non più utili, ma quello di accatastarlo in un giardino, per di più pubblico e con l’aggravante di essere il giardino di un luogo chiamato Casa della Cultura, è il modo più sbagliato, oltre che dannoso.

Fa male pensare che in un luogo in cui la cultura – intesa come insieme di saperi – si respira e diventa ossigeno per la mente, vi sia uno scarso senso della cultura – intesa come buone pratiche improntate sul rispetto dei luoghi e dell’altro.

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