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Palmi incontra la poesia di Giuseppe Bova

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Di Anna Pizzimenti – C’è ancora spazio per la poesia in una realtà sempre più piegata all’immediatezza della tecnologia e alle suggestioni dell’Intelligenza Artificiale? In un’epoca in cui lettura e scrittura seguono il tempo del battito di un “tap” sullo schermo di un tablet o di un telefono, la ricerca del verso, scritto a penna o anche con la tastiera del pc, potrebbe sembrare quasi anacronistica.

Ciononostante, è ancora il tempo dei poeti, come Giuseppe Bova, che con la sua ultima silloge arriva a Palmi, su invito dell’amico Natale Pace e di altri partner (nove in tutto: Centro Studi “F. Carbone”; Rhegium Julii; Club per l’UNESCO “D.A. Cardone”; Amici Casa Repaci; FIDAPA BPW Italy – Sezione Piana di Palmi; Convegni di Cultura “Maria Cristina di Savoia”; Amici della Musica “N. A. Manfroce”; PACE Edizioni; Corriere della Piana)), che hanno sostenuto e promosso l’iniziativa, convinti del valore e del ruolo che la poesia riveste nel processo di formazione umana.

Sede dell’incontro la saletta del Centro Studi “F. Carbone”, un salotto piccolo, come si conviene alle stanze di lettura, ma centralissimo e prospiciente il corso Garibaldi, che ha ospitato, oltre ai Presidenti e ai Rappresentanti delle diverse associazioni, un nutrito pubblico, attento e partecipe.

Ha aperto la conversazione Natale Pace, che ha manifestato la propria emozione e il proprio compiacimento nell’avere Giuseppe Bova a Palmi, sia per il rapporto di amicizia che intercorre fra i due, sia per l’alto valore del poeta e dell’uomo Bova.

Antonio Carrozza, presidente del Centro Studi “F. Carbone”, ha preso la parola per i saluti istituzionali, come padrone di casa e ospite dell’evento.

Subito dopo è stato il turno di Anna Pizzimenti, cui era stato assegnato il compito di dialogare con l’autore.

Indiscussa la caratura di Pino Bova, dettagliata nel sintetico profilo biografico di cui è stata data lettura, soffermandosi sulle qualità e le attività, di cui non “è bello tacere”, riconoscendo in Pino Bova, non solo il poeta, ma il saggista, l’operatore culturale, l’uomo di cultura e, soprattutto, l’uomo della Poesia.

Gli affluenti, questo il titolo dell’opera presentata, arriva dopo la raccolta antologica Ossigeno (2021). Una silloge veloce (36 liriche), intensa, vibrante di contenuti eclettici, ma mai discordanti, che fa fluttuare il lettore dal momento di riflessione personale al ricordo per gli amici poeti conosciuti e perduti, dall’introspezione intimistica allo sdegno per i mali del mondo, così evidenti e così invisibili ai più, dalla contemplazione – che è anche meditazione – dell’arte di Leonardo alla suggestione emotiva nata dai soggiorni in Romania: sono “tutti gli affluenti che hanno rafforzato la mia aorta”, confesserà l’autore nella poesia Ora che vivo come un’isola

Perché non si può resistere all’impulso vitale di scrivere! Lo sa bene chi ha il vizio di scrivere, lo sa bene Pino Bova, che, dopo aver consegnato alle stampe Ossigeno, forse pensava di doversi sottrarre al dovere morale di comporre in versi le emozioni, ma, come egli stesso confessa “c’è un momento in cui tornare alla poesia diventa davvero un’esigenza”.

Nell’individuare e condividere con il pubblico il fil rouge che ha guidato l’autore nella sua ultima produzione poetica, che include anche composizioni già edite in altre raccolte, sono state selezionate raffigurazioni di quadri di famosi pittori del passato: Van Gogh, Hopper, Dalì, e due immagini di Craiova e Iasi, le due città rumene a cui Bova dedica alcune sue liriche. Nel mostrarle e chiedere quali fossero le sensazioni suscitate, lo stesso pubblico in sala ha fornito lo spunto per agganciare l’immagine al verso di Bova evocativo di quella specifica emozione. E così, in un gioco di rimandi e di richiami, si è consumato il valzer esplorativo della poetica di Bova, puntualmente chiosata dall’Autore ora con una riflessione, ora con un ricordo o una considerazione, ora attraverso la lettura di un altro verso, anche più datato. 

Ciò che emerge è l’immagine del poeta come uomo del fare (lo dice lo stesso autore. “poesia deriva dal greco poiesis”), come Uomo che non può e non deve lasciare che “tutto ciò che ci passa accanto sia inosservato”, perché “nutrimento sono tutte le cose”.

E, soprattutto, si rafforza la missione “reale” della poesia, una missione che si potrebbe definire “sociale”, che travalica anche la sua dimensione ontologicamente artistica, di cui occorre comprendere l’immediata capacità universale.

Pino Bova vive la sua poesia con i cinque sensi della sua umanità, ma la affina, la libera dalle “scorie” della materialità, per elevarla con l’uso sapiente, accorto, icastico della parola.

Le sue liriche prendono forma e si animano: paesaggi naturali, panoramiche di cittadine, ma anche angoli e dettagli della città, particolari di dipinti, frammenti di versi di altri poeti si materializzano al lettore con immediatezza e con garbo, entrando in punta di piedi e accomodandosi nel salotto della riflessione e della meditazione.

La poesia si rivolge non solo agli animi sensibili, ma alle menti attente e acute, per esprime sdegno e manifestare vergogna, per rendere meno asettica la denuncia di ciò che non più tollerabile, per educare, non solo al bello, ma al giusto e al dovuto, perché l’animo umano è l’essenza dell’humanitas, che ci vuole tutti fratelli, anche con quelle differenze, che non devono mai degradare nella discriminazione, ma essere valorizzazione dell’unicità e del valore della persona.

C’è ancora, dunque, spazio per la poesia, non quella spicciola e banale, ma quella che con la limpidezza delle parole, sfrondate da vacui e fatui estetismi, sa raccontare i meandri inesplorati dell’animo e della mente dell’uomo.

Grazie a Pino Bova per averci dato un nuovo “nutrimento”, con gli affluenti a ingrossare i fiumi del sapere.

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