SAN PIETRO DI CARIDA’ – «La Cassazione ha ascoltato il grido di giustizia levato dalle parti civili annullando la sentenza e rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria per un nuovo esame proprio sulla premeditazione». Con queste parole gli avvocati Salvatore Costantino e Gerardina Riolo hanno commentato la decisione dei supremi giudici, arrivata lo scorso 11 marzo, di annullare il giudizio di rinvio che aveva escluso la premeditazione per Emanuel Morfei e Rocco Oppedisano, condannati in via definitiva per l’omicidio di Placido Di Masi.
I fratelli Di Masi vennero colpiti in località Misimizzi di San Pietro di Caridà da due persone armate di fucile caricato a pallettoni mentre viaggiavano su una Mercedes. I proiettili colpirono alla testa il fratello maggiore, Placido, mentre Rosario rimase ferito ad un braccio. Placido Dimasi morì in ospedale dopo dieci giorni di coma. Emanuel Morfei e il cugino Rocco Oppedisano, furono individuati dalla Polizia come esecutori dell’agguato in poco tempo.
«E’ giustificata la soddisfazione delle parti civili – hanno dichiarato Costantino e Riolo – costituite e in particolare di Rosario Di Masi, sulla cui testimonianza si è fondata la condanna di Morfei e di Oppedisano. Egli aveva dovuto affrontare una ordalia di pregiudizi sulla sua testimonianza e vincere il tentativo di sgretolarne la attendibilità. Ha resistito, senza perdersi d’animo, quando testimoni compiacenti hanno riferito di avere visto i due condannati in pellegrinaggio a Polsi – guarda caso – lontani centinaia di chilometri dalla piccola Monsoreto teatro del tragico omicidio».
«I Giudici – scrivono ancora i due legali – gli hanno, invece, sempre creduto e in appello è pure arrivata la tardiva confessione dei due condannati: Di Masi non era uno spergiuro e diceva la verità quando ha raccontato in aula di avere visto il 14 settembre 2009, Morfei ed Oppedisano, armati di fucile, sparargli addosso nel mentre percorreva a bordo della sua autovettura insieme al povero fratello una strada di campagna. Ma il coraggio di Di Masi è andato oltre: egli ha continuato a battersi perché si riconoscesse che i due condannati avevano compiuto quell’atto criminale con deliberata premeditazione».
Infine affermano Costantino e Riolo: «Noi sentiamo il dovere morale, quali difensori di una parte civile diversa – la compagna del povero Placido Di Masi, Ardelean Alina che arrivata dalla lontana Romania si è incontrata con la tragedia della morte – di rinnovare l’omaggio al coraggio di un uomo che non si è fatto piegare né dalla paura, né dalle ataviche regole della omertà mafiosa; oggi, come nel lungo iter processuale, rinnoviamo il nostro omaggio a quell’uomo che ha sconfitto la solitudine del silenzio di chi non si era reso conto che davanti una Corte d’Assise, stava accadendo ciò che accade raramente: una vittima, non si era girata dall’altra parte ma aveva trovato il coraggio civile di indicare in aula il nome di chi aveva ucciso il proprio fratello ed aveva attentato alla sua vita».
Lucio Rodinò