Era un amore folle, di quegli amori che fanno pensare all’adolescenza, non a due persone di mezza età. Francesca Bellocco e Domenico Cacciola erano arrivati a sentirsi fino a 40 volte al giorno, per due ore e mezzo attaccati al telefono.
Questo e tanti altri particolari sono emersi nell’udienza di ieri del processo che si sta celebrando in Corte d’assise a Palmi presieduta dal giudice Silvia Capone, sulla morte della rosarnese scomparsa, così come il suo amante, nella notte tra il 17 e il 18 agosto 2013 da Rosarno. Mentre per la donna, grazie alla testimonianza chiave di un vicono di casa è stato possibile istruire un processo, per Domenico Cacciola la Dda non ha ancora raccolto elementi sufficienti per arrivare a una incriminazione.
Il procedimento è a carico di Francesco Barone, figlio di Francesca Bellocco, difeso dagli avvocati Giovanni Vecchio e Salvatore Staiano.
Il 24enne di Rosarno è stato arrestato il 15 aprile del 2015 con l’accusa di aver ucciso la madre e di averne occultato il corpo, per punirla della relazione extraconiugale con il pregiudicato Domenico Cacciola.
Per la procura antimafia, la scomparsa di Francesca Bellocco e di Domenico Cacciola era stato un episodio di lupara bianca, dovuto alla necessita di lavare l’onore delle famiglie Cacciola e Bellocco, entrambe considerate cosche di ‘ndrangheta, onore che era stato gravemente offeso dalla relazione sentimentale fra la Bellocco, moglie di Salvatore Barone e Domenico Cacciola, relazione che andava avanti da anni.
Una relazione passata ai raggi x dai periti delle parti che ieri mattina sono comparsi davanti alla Corte d’assise per parlare degli spostamenti delle vittime nelle ore che hanno preceduto e seguito il delitto della Bellocco.
Secondo quanto emerso dal racconto dei tecnici in base ai tabulati e celle telefoniche, Francesca Bellocco dalla mezzanotte del 17 agosto non si sarebbe più mossa da casa, mentre il telefono del figlio accusato di averla uccisa avrebbe agganciato le celle di Rosarno, San Ferdinando e Gioia Tauro.
Dall’1 di notte, invece, almeno secondo quanto emerge dal traffico telefonico e dalle celle, non si sarebbe mosso da casa Domenico Cacciola.
I due, però, da quella notte sono scomparsi nel nulla, volatilizzati e per gli inquirenti sarebbero stati uccisi dalle rispettive famiglie per mettere fine a una relazione che destava scandalo in paese e rischiava di trascinare le due famiglie di ‘ndrangheta in una faida.
Per la procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria di Francesca Bellocco si sarebbe “occupato” suo figlio. A supporto di questa tesi c’è la testimonianza del vicino di casa Giuseppe Gallo.
Testimonianza ribadita anche in aula nello scorso mese di dicembre anche se tra mille tentennamenti dettati dalla paura. Anche i collaboratori di giustizia citati dal sostituto procuratore Adriana Sciglio hanno confermato questa ipotesi, basata però su voci all’interno degli ambienti malavitosi rosarnesi e non su prove o conoscenza diretta.
I pentiti hanno parlato anche dell’uccisione di Domenico Cacciola: c’è chi ha puntato il dito sui suoi figli, chi sui suoi fratelli.
Intanto, nella prossima udienza sono stati chiamati a testimoniare il marito di Francesca Bellocco, Salvatore Barone, e la figlia minorenne.