Inquieto Notizie

Olio della Piana: l’intervento di Pino Sciarrone

ulivo secolare

Caro Inquieto, se ti va di ospitarmi mi piacerebbe parlare dell’olivo e dell’olio.

O meglio, dei nostri olivi e del nostro olio. Non so in virtù di quali normative esistenti, ancora oggi e da tanto tempo, si estirpano nella nostra piana alberi d’ulivo ultrasecolari.

Ci sono aziende che, a giudicare dal loro entourage operativo, sembra abbiano addirittura una sorta di licenza ad attuare cotanto scempio. Mentre in Puglia ci si pone il problema angustiante di far sopravvivere piante d’ulivo ormai avvizzite dalle malattie e sull’argomento tutti i media sono allertati e il Governo stesso ne è fortemente interessato, qui da noi basta avere in mano una motosega e un bel fardello di presunzione che dalla sera alla mattina vi si possano abbattere tutti gli ulivi che si voglia; è solo questione di forza.

E’ vero che determinata sofferenza economica può indurre l’uomo perfino a delinquere ma “est modus in rebus”. Talvolta lo scempio è addirittura sistematico. Taluni sono convinti di poter “ottenere” di più con culture alternative a quella che la storia e la naturale evoluzione ha determinato per noi.

E’ vero, come è vero, che gli orizzonti vanno allargati anche e soprattutto nel campo dell’agricoltura e della produzione alimentare, ma fra tutte, le millenarie piante di olivo vanno preservate e protette; oserei anzi dire che dovrebbero considerarsi patrimonio dell’umanità: le culture di olivo della piana di Gioia Tauro per le loro peculiarità sono uniche al mondo e sono presenti in un ambito territoriale abbastanza ristretto, si estendono infatti da Vibo a Palmi e fino alle pendici dell’Aspromonte.

Quand’ero un ragazzino, nella mia dimora vi era la cosiddetta “stanza scura”. Praticamente un ripostiglio per le derrate alimentari, perennemente “vuoto”; c’era una cosa però che non mancava mai: un contenitore cilindrico in lamiera d’acciaio con una mezzaluna a cerniera sul coperchio, era la giara dell’olio. Ciò che io recepivo era che senza di quella non si potesse “campare”.

Chissà perché! Certo è che in tutte le famiglie delle nostre contrade, indipendentemente dal ceto, c’era un recipiente destinato all’olio. Ci si approvvigionava a novembre e bastava per tutto l’anno. Oggi no. Oggi, nella terra dell’olio, il 90% delle nostre massaie acquista, quando serve, una di quelle variopinte bottiglie presenti negli scaffali dei supermercati. Senza offesa per alcuno, è il massimo della idiozia. Quell’olio, spesso venduto a pochi euro, non può essere un salutare olio d’oliva, specialmente se imbottigliato in sedi lontane che nulla hanno a che fare con la reale produzione (a scanso di equivoci ci sono in vendita eccezionali prodotti a km 0).

Le nostre piante, praticamente uniche al mondo, sono di due tipiche cultivar: la Sinopolese è l’Ottobrarica. Il loro frutto è una piccola drupa particolarmente saporita. Ebbene, pochi sanno che proprio questo piccolo frutto della nostra terra, fra tutte le olive del mondo, è il più ricco di acidi grassi polinsaturi. Che cosa sono gli acidi grassi polinsaturi? Sono rappresentati dall’acido oleico, il linoleico e il linolenico, meglio conosciuto come OMEGA6, in ordine crescente nella loro molecola, sono presenti i tipici legami doppi tra gli atomi di carbonio e pertanto chimicamente predisposti a “legare” il colesterolo e veicolarlo dal sangue all’emuntorio renale.

Per dirla in pillole, le malattie vascolari come l’ictus e l’infarto sono poco presenti nel nostro territorio grazie alla mirabile azione di queste molecole. Menzione a parte meritano i tocoferoli che costituiscono sostanzialmente la vitamina E. Non ricordo bene in quale anno (l’ospedale di Gioia Tauro stava per entrare in funzione) studiosi americani, in quella sede, non so in virtù di quale iniziativa locale, ma certamente addentrati e competenti dei problemi che scaturiscono dall’ipercolesterolemia, hanno tenuto un convegno sulle caratteristiche organolettiche e dietetiche dell’olio della piana di Gioia Tauro (sarei felice se qualcuno potesse procurare gli atti conclusivi di quelle relazioni scientifiche). Certo è che, se proprio loro si sono scomodati per venire nel nostro profondo sud, un indubbio motivo scientifico e sociale ci doveva pure essere! Ciò non di meno il nostro olio non solo non sappiamo commercializzarlo adeguatamente, soprattutto non sappiamo consumarlo.

Le fette di pane con olio e pomodoro o con olio e zucchero o con olio e qualsivoglia companatico sono state soppiantate da wurstel e patatine.

I nostri colonizzatori greci (molte piante ancora oggi vegete le hanno messe loro a dimora) del Peloponneso, dell’Attica, della Calcide, salterebbero fuori dai loro sepolcri se sapessero una cosa così! Il consumo pro-capite di olio nell’antica Grecia era veramente notevole non solo come alimento ma anche come cosmetico, curativo, dermoprotettivo, balsamico e dulcis in fundo per darsi luce nel buio. La loro vera ricchezza era proprio quell’olio che in primis usavano per loro stessi quindi lo scambiavano con i popoli del nord per altre derrate alimentari come i cereali e i legumi.

Al tempo di Solone secondo Aristotele: “chi venisse colto nell’atto di abbattere, tagliare o sradicare un albero di ulivo veniva processato e se ritenuto colpevole era condannato a morte! A morte!
Pino Sciarrone

Exit mobile version