Quinto appuntamento del diario quotidiano di Marika Surace da Lesbo. Oggi ci racconta la reazione dei soccorritori alla notizia della morte di 39 migranti nel mar Egeo.
Lesbo – terzo giorno
La notizia dei 39 morti (di cui 5 bambini) arriva quando siamo già tornati dalla giornata, lunghissima, di scorte e salvataggi. Una giornata piena di arrivi, il mare calmissimo, le pattuglie di Frontex che fanno avanti e indietro tra una barca e l’altra, per assicurarsi che tutti arrivino sani e salvi a riva.
Iraq, Afghanistan, Siria: ogni volta che chiediamo ai migranti da dove arrivano, la risposta arriva come un sospiro collettivo, che dà l’idea del viaggio lunghissimo affrontato. Oggi è una giornata calda, e questo è confortante: il viaggio sul gommone è molto lungo, perché spesso ci sono 50 o più persone a bordo, e i motori hanno 8 cavalli, la velocità non è certo una prerogativa.
Oggi, insieme ai gommoni d’ordinanza, intercettiamo anche un barcone di legno, che ricorda quelli che arrivavano dall’Albania negli anni novanta. Sembrerebbe quasi una crociera turistica, se non fosse per le facce spaurite delle donne e gli occhi sgranati dei bambini a bordo. Circa duecento persone, almeno quelle visibili, molti anziani e perfino qualche disabile. E mi chiedo come abbiano fatto ad affrontare un viaggio così lungo, attraverso montagne, strade sterrate, notti insonni, se a malapena si reggono in piedi.
Ci spingiamo fino al confine con le acque territoriali turche: anche oggi il solito balletto della Guardia Costiera di lì, che si palesa solo per mostrare la propria presenza, finge di ostacolare il gommone e poi li lascia finalmente andare, in modo che ci possano raggiungere.
Se non fossi qui mi sembrerebbe di assistere a un film: elicotteri, un’enorme barca, appena arrivata, della Guardia Costiera greca, le barche velocissime di Frontex con le sirene blu spiegate e, all’orizzonte, perfino tre delfini, a rendere tutto surreale.
E’ un continuo muoversi tra le acque di fronte alla costa, tra Molivos e Skala Sykaminia, senza sosta. Siamo affamati, stamattina non abbiamo fatto colazione e abbiamo dormito solo tre ore, ma rispetto a chi arriva è una passeggiata.
Dieci barche in tutto: l’ultimo soccorso è uno dei più difficili, una donna molto anziana non riesce proprio a muoversi, è bloccata, e allora guardia costiera e migranti a bordo collaborano, cercano di aiutarla, discutono su come farla salire sull’imbarcazione che li porterà al sicuro a Petra. Per un momento sono tutti alla pari, l’obiettivo è aiutare una persona più debole, perfino la lingua non è un ostacolo e i toni si ammorbidiscono.
Quando arriviamo a Molivos, stanchi, affamati ma sollevati perché quasi mille persone sono state tratte in salvo, attraverso la radio arriva la notizia dei morti.
Appena partiti dalla Turchia, qualcosa con il motore è andato storto. E alcuni di loro sono annegati, su questi gommoni made in China che sono meno resistenti di un canotto comprato in spiaggia.
Sembra quasi che tutto il lavoro di stamattina svanisca. Perfino i ragazzi di Frontex, che a queste cose sono abituati, si innervosiscono, uno di loro si lascia andare a un’imprecazione.
La verità è che per quanto lavoro di pattuglia si possa fare, la costa è lunghissima, ed è impossibile sorvegliarla tutta. La Grecia chiede nuove imbarcazioni all’Unione Europea da mesi, ma ne ha ricevute meno della metà di quelle che servirebbero.
L’unica consolazione, oggi, è la chiamata di Imran, il ragazzo pakistano che abbiamo incontrato ieri: lo sciopero è stato annullato, è riuscito a partire, sta andando ad Atene. E chissà quante altre cose potrebbe raccontare.