Come socia A.D.I.C. (associazione donne insegnanti calabresi) per un lungo periodo ho espresso i miei pensieri su fatti di cronaca dell’associazione o su manifestazioni nella città di Gioia Tauro organizzati da vari gruppi culturali.
Al centro delle mie riflessioni c’è sempre uno spunto di forte emozione che mi spinge a puntualizzare tante cose per me rilevanti e a comunicarle con gioia.
Lo scrivere, perciò, accompagna il mio pensiero, lo oggettivizza sul foglio e si snoda come un fiume toccando tante curve nel suo percorso.
Mercoledì 9 Dicembre ho assistito in TV al programma “Stanotte a Pompei” con Alberto Angela, è stata questa l’occasione per me, per ricominciare a scrivere e pubblicare su” Altalenando”.
Nel servizio la narrazione di Alberto Angela è pacata, storica, emotiva e arricchita da note scientifiche.
La fusione di diverse tecniche visive è armonica, descrittiva, realistica, esplicativa con l’uso di immagini sovrapposte costruite al computer dove i personaggi appaiono nelle strade deserte ripopolate dagli abitanti. Così si mostra il movimento dell’antica Pompei.
Poi attori impersonano gli abitanti, indossano abiti propri dell’epoca e dialogano tra loro.
Ma quello che mi ha attirato è la presentazione dei calchi ottenuti con una tecnica particolare che ha consentito a noi, oggi, di vedere i corpi in gesso dei bimbi, degli uomini, delle donne e degli animali seppelliti dal Vesuvio nel 79 d.c.
Le parole del giornalista riescono ad attirare l’attenzione dello spettatore suscitando emozioni forti di dolcezza, tenerezza, pietà verso quella comunità distrutta dal vulcano fermata in un momento specifico della storia.
Eppure, Alberto ci dice che la Pompei che vediamo non sa di morte, ma ci comunica vita.
Ci dice che quei calchi così precisi e netti anche nell’abbigliamento ci parlano di persone con sentimenti, attività, amici, storie e tradizioni.
Tutto si ferma e si conserva a causa di un evento naturale che pur avendo prodotto sofferenza e dissolvimento dei corpi per il calore e la cenere sottilissima o per i lapilli che bersagliavano le persone fa di Pompei, come la vediamo e la studiamo oggi, un luogo per la vita con stimoli affascinanti perché tutto quello che mostra è vita: l’architettura delle case, le pavimentazioni decorate, l’oro delle donne, i dipinti freschi e vitali.
È vita per quelle forti emozioni che suscita nel visitatore, per lo stupore della storia che si mostra visibile, senza intermediari, segno chiaro di una realtà ricca di emozioni.
C’è la gioia dello spettatore che ama le cose belle e da esse viene stupito scoprendo nel passato l’intelligenza, l’artificio, il gusto, la manualità, la religiosità, la creatività della gente di Pompei.
Ti viene il batticuore come da innamorato perché sei attratto da quello che vedi, non sai pensare o vedere nient’altro che le cose di Pompei che ti parlano di sé, ti comunicano una forza vitale che unisce, rinnova, spinge a conoscere sempre di più.
Passato e presente si svelano nei collegamenti e nelle assonanze di usi e costumi.
Resta fermo nel tempo il Vesuvio, bocca sorniona e imprevedibile, compagno di allora e di oggi.
Liù Frascà