Il giornalista Paolo De Chiara, autore di “Una fimmina calabrese”, e il Procuratore della Repubblica Roberto Di Palma ospiti dell’Istituto scolastico di Palmi. La ribellione delle donne contro le cosche un esempio per dire “no” alla mafia
“Se alcuni di voi pensano che la ‘ndrangheta sia bella, se alcuni di voi imitano gli atteggiamenti dei mafiosi, sappiate che non state imitando degli eroi, ma dei delinquenti, degli uomini marci, destinati a fare la fine di un cane”. Ieri mattina, di fronte alle ragazze e ai ragazzi delle classi quinte dell’Istituto “Nicola Pizi”, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, ha scelto la carta della chiarezza. Niente giri di parole. Solo storie dure come un pugno nello stomaco per arrivare al cuore e alla testa del suo giovane uditorio. Insieme con il giornalista Paolo De Chiara, autore del saggio “Una fimmina calabrese”, dedicato alla tragica vicenda della testimone di giustizia Lea Garofalo, il Procuratore è stato il protagonista di un’intensa mattinata nel segno dell’educazione alla legalità e della memoria delle vittime di mafia.
L’incontro – Organizzato alla vigilia del 21 marzo, data in cui si ricordano le vittime innocenti delle organizzazioni criminali, l’incontro ha fornito l’occasione di un’ampia riflessione sul tema del contrasto sociale e culturale alle mafie, a partire dalla storia di Lea Garofalo, fatta sparire a Milano il 24 novembre 2009. “Momenti formativi come questo rientrano nello spirito cardine di questa come di tutte le scuole italiane: educare i ragazzi ad una nuova mentalità, allo spirito critico e alla forza della denuncia”, ha introdotto la Dirigente Scolastica, prof.ssa. Maria Domenica Mallamaci, lasciando poi il microfono ai due relatori e alla moderatrice dell’incontro, prof.ssa Chiara Ortuso.
“Altro che onore” – Il Procuratore Di Palma ha catturato l’attenzione di un auditorium gremito e silenzioso snocciolando storie dure, di “disonore criminale”: “Si riempiono la bocca della parola onore, ma sapete che fanno i mafiosi? Organizzano agguati contro ragazzine di 10 anni come Marcella Tassone, si vantano che i propri figli non debbano lavorare perché tanto campano sulle spalle di gente onesta come i vostri genitori. Ma quale onore? E’ solo violenza sui più deboli”. Per il Procuratore bisogna partire debellando la mentalità che giustifica e che rischia di creare “miti” da imitare: “E’ gente che muore sola come un cane in una cella o che bisogna raccogliere morta per strada. Potete fare le scelte che volete, ma devono essere scelte consapevoli e queste sono le cose da sapere”. E allora che fare? “Solo il proprio dovere, non dimenticando mai che facciamo parte di una società e dobbiamo pensare al nostro prossimo: il nostro compagno di banco, la nostra terra”. Sulla stessa linea l’intervento appassionato di De Chiara, apprezzato giornalista d’inchiesta molisano impegnato da anni sui temi della legalità e della denuncia del malaffare: “Contro la mafia non servono eroi, ma semplici cittadini consapevoli che conoscano la storia e siano capaci di dire di no e di abbattere l’omertà e la connivenza che garantiscono da sempre la sopravvivenza delle mafie”. La storia di Lea Garofalo, infine, è stata rievocata attraverso la lettura drammatizzata di alcuni passi del saggio dell’autore a cura degli studenti delle classi 5A, 5E, 5F e 5C.