Mi avevano accolto con emozione e tanta gioia. Avevano organizzato una grande festa, mi raccontarono dopo molti anni.
Anche zio Luigi partecipò. Abitudinario e schivo, non era il tipo che la vigilia usciva di casa. Aveva fatto questo sforzo, in quell’anno, proprio per me. Eh già! Un lontano Natale in cui entravo in una famiglia.
Le ore di volo furono tante. Il Messico era al di là dell’oceano, ma io dormivo senza accorgermi di ciò che accadeva e di cosa sarebbe stato di me.
Si chiedevano tutti che forma avesse il mio viso, gli occhi, il nasino o il colore dei capelli. Se fossi minuscola o aggraziata, sottopeso o armoniosa. Mi chiamarono Sara. E la canzone cantata da Venditti è la mia preferita, perché per me la primavera era giunta, per fortuna.
Sapete, non vi è sensazione più bella che ritrovarsi “dentro” un pacco di regalo ed essere “il regalo”.
Ci apprestavamo a preparare il cenone con i miei bambini, intenti a scartare i regali, assieme ai nonni.
Rivedevo nei loro occhi le emozioni che ebbi io in quel lontano Natale ed in quelli che seguirono.
Fui fortunata, ma davvero!
E poi conobbi Sandro all’Università di Milano, mentre preparavo Procedura Penale. Lui era in fase di stesura della tesi e curioso di conoscermi, attaccò bottone.
Ci abilitammo alla professione legale ed oggi esercitiamo in centro, da oramai 14 anni.
Sotto l’albero, trovai anche tante altre persone che mi inondarono di affetto… e al diavolo le chiacchiere: “donare amore” è un superlativo per pochi.