Tra i numerosi appuntamenti che hanno arricchito il calendario culturale dell’estate palmese, sabato 19 agosto al Centro Giovanni Paolo II, è andato in scena “Gente Spaesata”, spettacolo scritto e diretto da Sofia Russotto e interpretato da Michele Eburnea, Gaja Masciale, Filippo Marone, una compagnia di giovani ragazze e ragazzi diplomati presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, realizzato con il patrocinio della “Silvio D’Amico” e la supervisione artistica di Antonio Latella.
Un lavoro che parla di giovani, ma in grado di rivolgersi a tutte le generazioni e che pur affrontando tematiche forti è stato accolto con grande partecipazione ed entusiasmo dal pubblico palmese. Una riflessione sulla condizione di chiusura e sofferenza che vivono tanti ragazzi e ragazze di oggi, i quali non trovano un senso di appartenenza ai valori trasmessi dalle generazioni precedenti e lottano per continuare a sentirsi vivi, senza lasciarsi trascinare dal pensiero comune.
Nello spettacolo, due ragazzi senza desiderio né scopo discutono su come cambiare il mondo trascorrendo le loro giornate tra musica, alcool e droga; questo loop tossico viene interrotto dall’arrivo di una giovane donna che sconvolge i fragili equilibri della loro casa. Abbiamo intervistato Michele Eburnea, uno dei tre interpreti, giovane attore che ha già numerose esperienze tra teatro, cinema e televisione e sogna di contribuire all’offerta culturale della città di Palmi.

Partiamo da “Gente Spaesata” che ti ha visto in scena proprio pochi giorni fa a Palmi, come nasce questo lavoro?
“Gente Spaesata” è un lavoro originale di Sofia Russotto, che ne ha curato anche la regia, che nasce durante la pandemia e quindi durante il periodo di reclusione. Ha debuttato il 6 giugno 2022 a Roma, a Carrozzerie n.o.t, dopo una storia un po’ travagliata che ha visto susseguirsi vari interpreti, fino ad arrivare alla formazione finale andata in scena anche a Palmi. Il lavoro ha avuto la supervisione di Antonio Latella, grande attore e regista, che si è interessato molto sia al testo che al lavoro di Sofia.
Uno spettacolo che affronta anche questioni molto forti, come vi siete approcciati a questi temi che parlano ad una generazione che effettivamente si sente in qualche modo “spaesata”?
L’approccio principale può essere definito di tipo “politico”. La nostra è davvero una generazione spaesata, nel senso che non trova fissa dimora e non trova un’istituzionalità. C’è ancora questo scarto generazionale che non riusciamo a colmare, perché il nostro sistema di valori è completamente distante da quello delle generazioni precedenti, abbiamo una visione del mondo diversa, anzi è quasi come se abitassimo in un mondo diverso. C’è stata quindi una riflessione quasi umana su queste tematiche e sulla volontà di accendere i riflettori sulle nostre vicende, le nostre problematiche, le nostre domande. I temi trattati sono in qualche modo spinosi, come la droga, ma l’operazione che abbiamo cercato di fare anche registicamente – visto che poi la regia è stata un po’ condivisa con tutto il gruppo – è stata quella di sganciare questo tema da quello principale dello spettacolo, che è proprio quello dello spaesamento. Ad esempio, abbiamo sostituito l’assunzione di droga o alcool dei protagonisti con degli espedienti che ci sembrava potessero nobilitare la questione, e non ridurla all’atto pratico in sé.
E dal punto di vista interpretativo?
Dal punto di vista interpretativo abbiamo cercato di sostenere un ritmo che potesse ricordare gli effetti dell’uso di queste sostanze. Il ritmo è quindi molto incalzante e sostenuto, è una sorta di cavalcata ritmica fino alla fine del primo atto, costruito intorno alla poesia “Gente Spaesata” di Pavese. Anche il rapporto che abbiamo costruito tra i personaggi è molto particolare. All’inizio ci sono solo i due personaggi maschili, interpretati da me e Filippo Marone, che vivono insieme in una casa in un rapporto quasi di interdipendenza. L’uno ha bisogno dell’altro per esistere, per avere qualcuno che lo ascolti, perché al di fuori di quella casa c’è la sordità, la cecità del mondo esterno che non comprende il loro punto di vista. L’arrivo del terzo personaggio femminile (Gaja Masciale), rompe poi gli equilibri preesistenti, anche da un punto di vista spaziale. Anche l’uso del linguaggio è molto particolare e pensato appositamente per dare un senso di verosomiglianza.
Prima accennavi al fatto che in questo lavoro vi siete confrontati con un grande del teatro italiano, Antonio Latella, ma tu di recente ti sei confrontato anche con un nome importante del cinema, recitando ne “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti. Com’è stata l’esperienza sul set?
L’esperienza sul set è stata veramente incredibile. Per me Nanni Moretti è il cinema italiano, nel senso che si è sempre messo in prima linea sia dal punto di vista cinematografico che produttivo. Le giornate sul set sono state faticose ma divertenti, e rivedere il film è stata un’emozione incredibile perché credo che questo lavoro sia anche un grande tassello nella carriera di Nanni. Con lui poi è nato anche un rapporto speciale, perché dopo aver iniziato a girare ha voluto anche vedermi a teatro, in un lavoro scritto e diretto da me, “Error materia”, che portavo in scena al Teatro Vascello di Roma. Si è poi innamorato di quel lavoro e ha voluto saperne sempre di più, iniziando a seguire così tutti i miei lavori teatrali. È nata una stima reciproca che prosegue tutt’oggi.
Alla luce di queste tue importanti esperienze sia nel cinema che nel teatro, c’è una dimensione alla quale ti senti più vicino?
Dal punto di vista autoriale e personale mi sento più vicino al teatro, perché dirigo e interpreto lavori che io stesso scrivo e quando penso a qualcosa di artistico lo immagino in chiave teatrale. Dal punto di vista cinematografico mi sento invece ancora uno studente che ha molto da imparare. Fortunatamente ho già incontrato già alcuni maestri sul mio cammino e ho voglia di incontrarne ancora.
Progetti per il futuro?
Nel settore cinematografico, continuerò a lavorare su alcuni progetti sia per il cinema che per la televisione. Sul fronte teatrale spero di poter continuare a portare in scena i lavori che ho già realizzato. Una cosa alla quale tengo moltissimo e che spero di riuscire a fare è portare più spettacoli a Palmi, magari organizzando un piccolo festival o una rassegna, in modo da far conoscere anche i lavori di altri colleghe e colleghi che ritengo interessanti. Palmi ha una storia culturale di tutto rispetto, io ci vengo fin da bambino e quello che ho notato è che non manca il pubblico, ma l’offerta. Esser riuscito a portare in scena per la prima volta un mio lavoro a Palmi è stato davvero emozionante e ho voglia di rifarlo presto.