Cittanova questa mattina si è stretta intorno a don Giuseppe Borelli per festeggiare i suoi 50 anni di ministero presbiterale.
Per la felice ricorrenza il sindaco Cosentino e l’amministrazione comunale hanno organizzato una cerimonia in consiglio comunale, a cui hanno partecipato le autorità civili e militari, i rappresentanti istituzionali e delle associazioni locali.
In questa importante occasione abbiamo intervistato il sacerdote cittanovese.
In quale momento ha capito che avrebbe dedicato la sua vita al Signore e alla Chiesa?
La vocazione e’ un seme che il signore mette, poi poco a poco si comincia a rispondere. Quando si arriva ad una certa età, normalmente, dopo la maturità classica si arriva alla decisione che vale per tutta la vita.
Ricorda il primo giorno da sacerdote in questa Chiesa?
Il primo giorno da sacerdote e’ stato il pomeriggio del 10 luglio 1966. Era una domenica proprio come quest’anno. Ricordo l’ accoglienza dei cittanovesi, la grande concelebrazione in Chiesa Matrice e la festa che ci hanno fatto. Eravamo tre sacerdoti.
Qual è stato il momento più difficile alla guida di questa comunità ?
Tanti, soprattutto a livello sociale. Non dimentichiamoci che io sono stato parroco nel periodo della faida a Cittanova. Sono stati tanti i momenti difficili, legati a quel periodo e soprattutto quelli legati alle conseguenze che la faida ha prodotto.
Qual è il ruolo del sacerdote in un territorio come il nostro dove la ‘ndrangheta e’ molto presente?
Tentare di mettere pace. Ancora non era in voga la frase di Papa Francesco, “costruire i ponti”. Ma era proprio quello il nostro ruolo. Era nostro compito quello di eliminare poco a poco le cause che avevano portato a quella distruzione e quindi cercare di trovare la pacificazione.
La parrocchia si è messa a disposizione. Ha aiutato nei momenti di difficoltà e con buoni risultati.
Quale occasione, in particolare, l’ha reso orgoglioso di essere il pastore della comunità cittanovese ?
Non l’ ho mai visto da questo punto di vista. Io ho sempre inteso la mia missione come un servizio. Più ho potuto servire, meglio mi sono sentito; più mi sono visto utilizzato, qualcuno potrebbe dire sfruttato e meglio sono stato. Non parlo di orgoglio io. Ci vorrebbe una grande presunzione a pensare di essere io il protagonista ma in realtà il protagonista è sempre il signore.
Lei è stato un punto di riferimento sia spirituale che culturale. Qualcuno ha detto che si sentirebbe orfano di fronte alla eventualità che possa lasciare la guida della comunità ad un successore.
Questa è la bontà della gente. Vedendo la disponibilità a servire, quando sanno che sei al servizio allora ti vedono come un punto di riferimento, quando hanno bisogno sanno da chi andare a chiedere, di una parola di conforto sanno a chi rivolgersi, quando hanno bisogno anche di un bene materiale sanno dove cercarlo.
Continuerà ad essere una presenza vigile anche quando decidera’ di lasciare la parrocchia?
Io credo di essere sacerdote per sempre. Il sacerdote non va in pensione. Le forze fisiche potranno diminuire ma due cose devono sempre sussistere: la disponibilità a servire e la missione di portare a tutti l’amore del signore e questo lo si può fare sia a vent’anni che a cento.
E’ inevitabile che qualcuno faccia un paragone rispetto a chi un domani prenderà il suo posto. Alla luce di una tale possibilità, quale consiglio si sente di dare ai fedeli e quale suggerimento al futuro parroco?
Consiglio ai fedeli di accettare chiunque verrà come colui che deve essere un testimone dell’amore di dio e al confratello che dovesse venire, chiederei di non essere solo credente ma di essere credibile in tutto.
Come è cambiata Cittanova in questi 50 anni e come è mutata la figura del sacerdote ?
L’approccio dei cittanovesi con il sacerdote era quello di vederlo su un piedistallo. Loro vedevano il signor don. Io per grazia di dio ho voluto diventare un prete di strada che vive tra la gente con la gente e per la gente.
Che ruolo svolge la Chiesa nella tutela e nella protezione delle fasce deboli della società ?
Quello di farsi una domanda. Noi siamo abituati a stare alla finestra, a guardare, a giudicare e a condannare. Io chiedo a me stesso e chiedo a tutti, cosa sto facendo e non cosa posso fare per migliorare la situazione del mio paese? Io credo che se tutti ci facessimo questa domanda le cose cambierebbero.
Nel 2018 Cittanova festeggerà il suo quattrocentenario. Quale momento, secondo Lei, rappresenta meglio la storia del paese e quale significato dobbiamo dare a quest’evento in una prospettiva futura ?
Io credo che qualcosa c’e’ e basta rivedere la ripresa della fede della nostra gente. Le ultime due processioni del Venerdi’ Santo e mi hanno rivelato un aspetto cittanovese completamente diverso. Prima era più folklore che fede oggi è decisamente il contrario ed è un grandissimo passo in avanti. Celebrare i quattrocento anni significa avere il coraggio di ritornare alle radici di questo paese. Cittanova ha avuto un grande impatto culturale, artigianale, istituzionale che purtroppo con il tempo ha perso. Il recupero dell’idea di Cittanova, quale dovrebbe essere, sarà l’impegno che tutto dobbiamo avere.