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Altalenando, Le quindici tra letteratura e spiritualità

Gli interventi della rubrica “Altalenando” sono curati dall’Adic, l’associazione donne insegnanti calabresi:

Ho cominciato a leggere con attenzione il testo della copertina e la nota dell’autore che mi hanno riportato al capitolo “i colpi”, proprio quello che ha segnato l’origine di tutto il libro.

Dalla lettura nasce una convinzione: esiste una fede in Cristo fondata sul suo più grande miracolo, quello della sofferenza accettata per amore e della Resurrezione ad essa collegata.

Così l’autore nel suo capitolo fondamentale inizia e finisce col mostrarmi la vera essenza della fede, che non è appagamento e distribuzione di miracoli richiesti in nome di bisogni egoistici e pratiche superstiziose. È la coscienza del valore della Croce e della Resurrezione.

Certo, nell’autore il tema della sofferenza è stato fonte di riflessione e ripensamenti spirituali e fantastici che lo hanno indotto piano piano a comporre il volume in cui sofferenza, superstizione, tradizioni, fatti e personaggi ambientati e descritti in modo pittorico si intrecciano con un raffinato umorismo.

I personaggi, le loro caratteristiche, i loro difetti e le usanze radicate nel tempo e nella propria terra affascinano i molti lettori.

Il periodare è accattivante, rapido, fluente, ma la lettura si snoda pian piano e si arricchisce via via del ricordo, come in una visione di un quadro in cui tutti i particolari meritano attenzione, proprio perché è l’insieme che ne esprime il valore globale.

Il dialetto appare al momento giusto, come una sorpresa, con i termini che anche noi in Calabria usiamo affettuosamente a mo’ di proverbio.

È significativo l’uso delle metafore che rendono le descrizioni chiare come immagini (i bottoni del parroco don Salvo sono pronti a esplodere come missili), anche i personaggi hanno la loro similitudine: c’è il sagrestano che esce dal confessionile dove si era nascosto perché impaurito dalla presenza di uno sconosciuto e che somiglia alle corna di una chiocciola che si allungano dopo il temporale.

Gli aggettivi si rincorrono rapidi e sorprendenti, al lettore lasciano, nello scorrere, il gusto per la descrizione appena letta.

Alcuni dialoghi sono delle autentiche gheg da rappresentare in teatro, tanto sono vive, incalzanti, improvvise.

Il testo profuma di odori antichi, come l’odore di paglia o di terra bagnata, come l’odore di aceto per rianimare il povero Antonio, come l’odore del pane, come l’odore di macco che è il cibo del dottore, come l’alloro bollito nell’acqua, tisana per ogni malessere. C’è l’odore della terracotta con cui è fatto il calice del novizio Michele alla certosa di Serra San Bruno. C’è l’odore delle arancine siciliane divorate con gusto dai tre personaggi(Antonio, Gioacchino, don Salvo) in viaggio. C’è il profumo dei funghi alla tavola dei monaci.

C’è il gusto nel testo per le cose d’altri tempi: il cassetto, l’armadio di Antonio sono le nostre cose amate e perdute o ritrovate. Sono le cose misteriose che hanno un significato, come il libro piccolo, giallo e stropicciato capitato tra le mani di Antonio e capace di sconvolgergli la vita. C’è il carrettino lanciato in velocità, c’è il corredo in preparazione sull’uscio di casa, c’è la carruba da masticare. C’è l’altalena imbarcata tra gli alberi.

Nel testo si respira una spiritualità antica e moderna al tempo stesso, rappresentata dal personaggio di Michele, novizio. È lui l’uomo della solitudine, del consiglio, alla ricerca della pace ignorata dal mondo. Michele è l’uomo di ieri e di oggi, l’uomo sensibile ricco dei doni di Dio, di luce e calore da diffondere agli altri.

Così nel personaggio di Michele traspare la sensibilità dell’autore, il “dover essere” di atteggiamenti umani non sempre veramente umani. C’è nel libro una pensositá che presuppone valori umani, fondati su convinzioni religiose.
Nel libro definito in copertina una commedia degli equivoci tutto ruota intorno a presunti miracoli in una comunità insicura, sempre in attesa di messaggi dal cielo o vendette celesti, alla ricerca di reliquie magiche per risolvere i problemi. Dalla mania della ricerca di miracoli non è indenne nessuno, c’è il sacerdote, c’è il monsignore, c’è la fila dei paesani in cerca di talismani a pagamento. Ma c’è anche la sorpresa della conversione come quella dello “sciancato” presentatosi a don Mimmo e che alla fine riconosce di essere cambiato.

Il personaggio di Michele è forse quello che incarna maggiormente la spiritualità del silenzio e della parola evangelizzatrice. Michele è colui che lascia Dio lavorare e poi è in grado di gustarsi i prodigi di Dio sugli uomini, forte del raccoglimento e della meditazione da eremita. È bellissima la lettera scritta da Antonio che attraverso don Salvo Michele riceve e legge sul traghetto.

Antonio è il personaggio che suscita curiosità, è lui che sogna il perdono, nella quiete della certosa ritrova la pace e la misericordia di Dio. Lì impara ad accettare se stesso. In lui si realizza il miracolo della conversione e la certezza del paradiso alla fine dell’esistenza. È così che l’autore si schiera per la vera fede, al di là della fede falsa e ipocrita.

Grazie all’autore per averci offerto in un’atmosfera tragicomica il senso della vera spiritualità cristiana.

Liù Frascà

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