«Pur nella consapevolezza che l’annoso tema riguardante la sanità si configuri già a livello nazionale come una questione di difficile, e non a breve termine risoluzione e tenuto in debito conto il fatto che gli strumenti a disposizione di una giunta comunale e la relativa pertinenza in materia siano limitati, soprattutto al cospetto di inadempienze perpetuate per anni da una amministrazione centrale non incisiva, quando non completamente assente, è comunque opportuno e doveroso non esimersi dall’esprimere riflessioni, pensieri e proposte, soprattutto in un contesto elettorale sempre più concitato».
A scriverlo in una nota è il Dipartimento Sanità e Salute di Alleanza Gioiese, rappresentato da Giuseppe Ardissone, Salvatore Zappalà e Rossana Monaco.
«Alla luce delle suddette premesse – prosegue la nota – risultano ancora più degne di nota le azioni già intraprese dal presidente della regione, on. Roberto Occhiuto, finalizzate al reperimento di qualificati medici cubani da destinare ai nostri PS e al reclutamento di medici specialisti con contratto a tempo indeterminato mediante indizione di pubblici concorsi.
Si tratta della ordinaria modalità di reclutamento per titoli ed esami. Una modalità che, costituzionale per eccellenza, garante del merito e della trasparenza procedurale, va ulteriormente incentivata per frenare l’emorragia di professionisti del settore sanitario verso altre regioni o verso il privato.
È, infatti, la dimensione lavorativa della sanità pubblica che deve essere resa più appetibile, perché riteniamo che una efficace politica sanitaria che accolga nei nostri ospedali il personale maggiormente qualificato comporti, come sua diretta ricaduta, il diritto alla salute anche delle fasce più emarginate della nostra popolazione, gli “invisibili” fuori dalle logiche partitiche, gli anziani lontani dal populismo dei “social media”, i disoccupati, ovvero tutti coloro per i quali la fragilità clinica va di pari passo, purtroppo, con quella economica.
Di fronte ad un presidente regionale che si impegna, mette la faccia e trova soluzioni concrete, i protagonisti della nuova stagione amministrativa gioiese dovranno instaurare con la regione un dialogo proficuo, facendo convivere un atteggiamento pragmatico per le urgenze a breve termine, concernenti i servizi essenziali, con strategie di medio e lungo periodo finalizzate ad una vera e propria riforma sanitaria.
Per questo siamo convinti che dietro pretestuose, nonché di scarsissimo rilievo, questioni di principio circa le motivazioni e il luogo sul quale la nuova struttura ospedaliera unica dovrebbe sorgere, si cela, di fatto, da molto tempo ormai, una sfiancante e sterile battaglia campanilistica senza “visione d’insieme” e i cui protagonisti, distratti nella foga dei campi di battaglia dei partiti tradizionali, si sono rivelati poco accorti nel prevedere le funeste conseguenze di un progetto mal pensato: di fatto, a prescindere dal perché e dal dove sorga, un ospedale “unico” non è che una grande scatola che convoglia, sì, professionisti sanitari, ma al prezzo di svuotare tutte le altre strutture preesistenti e più capillarmente distribuite.
A nostro avviso il progetto avrebbe invece grande rilievo se la struttura unica venisse concepita come polo ospedaliero universitario, un contesto in cui la dimensione della cura e dell’attenzione al paziente possa sinergicamente integrarsi con attività di formazione dedicate ai futuri medici e progetti di ricerca, di modo che l’emorragia di personale specializzato in fuga dalla Piana di Gioia Tauro possa essere arrestata, e la mobilità professionale fuori regione o nel privato possa diventare finalmente una libera scelta, non una costrizione.
Un ospedale unico privo di questa progettazione alle spalle rischia di diventare l’ennesima cattedrale nel deserto, con scarsi benefici per una piana che conta 33 comuni e oltre 150.000 abitanti distribuiti su una superficie di 243 Kmq.
Integrare i diritti alla salute del cittadino, che non possono sussistere senza adeguati strutture e servizi pubblici, e la formazione del personale preposto, che su quei diritti incide direttamente nella quotidianità con il proprio operato, significherebbe conferire a Gioia Tauro e alla Piana tutta, tradizionalmente a vocazione commerciale e agricola, anche una dimensione universitaria in cui le linee taurensi, da molti date per spacciate o inutili, potrebbero invece ritrovare un impiego strategico, ecologicamente sostenibile, come metro di superficie: luogo di scambi, interazioni umane, idee, mobilità professionale a corto raggio.
Cosa fare, allora, delle strutture già esistenti? Quelle, per intenderci, che pur tra mille difficoltà stanno offrendo il servizio odierno?
In un’ottica di coerenza, proporre che il nuovo ospedale non sia una cattedrale nel deserto implica che nemmeno le strutture attualmente in funzione lo diventino a loro volta: andrebbero riqualificate e destinate già da oggi a reparti specialistici omogeneamente distribuiti, poliambulatori, centri vaccinali, farmacie ospedaliere territoriali, consultori.
Non possiamo più accettare, ad esempio, ciò che avviene ancora oggi con i nostri pazienti oncologici, costretti a percorrere fin troppi kilometri, in direzione Reggio Calabria o Catanzaro. E non certo per sottoporsi a cure extra-ordinarie, ma ad un protocollo chemioterapico identico su tutto il territorio nazionale.
La riqualificazione dell’ospedale già esistente a Gioia Tauro come centro chemio-radioterapico non significherebbe forse restituire dignità al paziente oncologico, ad oggi costretto ad intraprendere veri e propri viaggi, in tutti i sensi, della speranza?
La stessa struttura non potrebbe, parimenti, diventare un centro specializzato nella prescrizione e somministrazione di farmaci biotecnologici, che sembrano trovare sempre maggior impiego nella medicina di precisione?
E tutto questo ancora senza tener conto del “vil denaro”, questione spinosa in una regione dal Pil come il nostro: nel solo 2023 la fuga dei pazienti calabresi verso altre regioni è costata ben 254 milioni di euro.
Ecco quale dovrebbe essere la riflessione progettuale di qualsivoglia concittadino che aspiri a diventare sindaco, – concludono – e quindi primo garante del nostro diritto alla salute».