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Cumbertazione, restano in carcere i Bagalà e i Nicoletta

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L’ufficio gip di Palmi non ha convalidato il fermo emesso, giovedì scorso, dalla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

I gip, però, hanno contestualmente emesso un’ordinanza di custodia cautelare. Dall’atto si apprende che restano in carcere la maggior parte degli indagati finiti nell’inchiesta della Dda denominata “cumbertazione”. Tra questi Luigi, Giuseppe e Francesco (classe ‘90) Bagalà (difesi dagli avvocati Patrizia Surace e Santo Surace), Francesco Bagalà classe ‘77 (avvocati Domenico Alvaro e Patrizia Surace), Pasquale Nicoletta (difeso dall’avvocato Giacomo Saccomanno) e sua sorella Angela Nicoletta (avvocato Maria Antonietta Petrillo), dirigente del settore dei lavori pubblici del comune di Gioia Tauro accusata di associazione mafiosa.

Va ai domiciliari, invece, il cognato di Francesco Bagalà classe ‘77, Domenico Coppola (avvocati Domenico Ascrizzi e Patrizia Surace). Stessa decisione per i tecnici Bruno Polifroni (avvocato Armando Veneto), Rocco Leva (avvocato Antonino Napoli), Santo Fedele e Francesco Fedele (difesi dagli avvocati Andrea Alvaro e Antonio Speziale), Gaspare Castiglione (avvocati Andrea Alvaro e Stefano Grio).

Per i tecnici coinvolti vengono mosse le accuse di associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di turbativa d’asta, corruzione e falso ideologico, aggravata dalla finalità agevolatrice mafiosa nonché diverse ipotesi di turbativa d’asta pubblica aggravata dalle modalità mafiose.

Subito dopo avere emesso l’ordinanza, i tre gip di Palmi che hanno eseguito gli interrogatori di garanzia agli indagati, i giudici Carlo Alberto Indellicati, Paolo Ramondino e Massimo Minniti, hanno inviato gli atti ai colleghi di Reggio Calabria per competenza territoriale.

L’inchiesta “cumbertazione” è scattata all’alba di giovedì scorso, eseguita dal comando provinciale della guardia di finanza su mandato della Dda, e ha coinvolto 33 persone, accusate di fare parte di un cartello occulto di aziende che avrebbero fatto incetta di appalti pubblici attraverso un meccanismo fraudolento e corrompendo e minacciando funzionari pubblici, dal comune di Gioia Tauro alle Stazioni uniche appaltanti delle province di Reggio Calabria e Cosenza fino all’Anas.

Alla guida del presunto cartello occulto di aziende che veicolavano gli appalti pubblici, secondo la procura antimafia e la guardia di finanza, ci sarebbe la famiglia Bagalà di Gioia Tauro. Secondo l’accusa, gli imprenditori della città del porto sarebbero in affari con la cosca Piromalli e in particolare con il boss Pino Piromalli.

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