Lezioni di diritto rigorosamente dispensate ai non addetti ai lavori mettendo al centro letteratura e, questa volta, anche la musica, per un connubio interessantissimo imperniato sulla potenza della parola, le fragilità umane, la dignità e finanche sul binomio integrazione/disintegrazione in uno slancio pedagogico-culturale che ha catturato l’attenzione dell’uditorio che ha assiepato, gremitissimo in ogni ordine di posti, il teatro Manfroce di Palmi.
Merito dei tre protagonisti che hanno catalizzato la discussione, rendendola leggera e godibile, su temi che in altri contesti avrebbero potuto rischiare la noia e certamente non avrebbero incollato gli spettatori alle poltrone per quasi due ore.
Sollecitati dal magistrato Antonio Salvati – ideatore del Festival nazionale di Diritto e Letteratura Città di Palmi giunto ormai alla XI edizione – il poliedrico divo Claudio Baglioni e lo scrittore e poeta Michele Caccamo hanno saputo incuriosire gli spettatori con le loro risposte condite dal giusto equilibrio di serietà, ironia e divertito realismo rimbalzando da uno spunto all’altro con la disinvoltura propria dei grandi autori.
I saluti istituzionali del sindaco della città, Giuseppe Ranuccio giustamente «orgoglioso del Festival» e del sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà, aiutato dal motto virgiliano “L’arte rivela ai cuori quel che nessuna scienza può rivelare alle menti”, hanno dato la stura ad una serata appassionante nella quale Baglioni, ospite d’onore in punta di piedi approcciatosi con il suo consueto stile, riservato e gentile, ha incantato per garbo e sagacia scaldando le mani alla platea avvinta dal fascino dell’eterno fuoriclasse della musica italiana per la riuscita di un Festival, come ha voluto sottolineare Salvati, nel quale «si incontrano linguaggi ed opinioni diverse». Ed appunto la manifestazione si è rivelata un inno alla diversità di idee nella quale l’omologazione non ha trovato spazi e dove gli spunti per riflettere sulle tematiche sottoposte sono parsi più che copiosi giacché l’analisi del linguaggio proposto dal giudice-conduttore ha dato modo a Ivan Fedele, autore del volume “Le canzoni di Baglioni spiegate a mia figlia”, di suggellare l’artista romano come «il cantore della vita, un artista dispensatore di sogni per una umanità dolente» attingendo al suo vastissimo repertorio «dall’alto valore sociale e civile».
E se il diritto «non giudica mai una persona ma una azione» e, per Baglioni, «non corrisponde quasi mai a ciò che vorremmo», le parole, che tuttavia aiutano «a cercare il senso della nostra esistenza» sono le stesse che, per Caccamo, «tenersi dentro fa male».
Nel cambio di registro, Baglioni ha sottolineato che «le fragilità sono anche una dotazione, un universo ricco dove le persone si incontrano di più» pur facendo il paio col «timore di deludere», mentre Caccamo, cogliendo il suggerimento dal suo ultimo libro, “L’alfabeto inutile”, ha spiegato che esse contengono, come per chi pratica l’hikikomori, «una forma di ribellione e di contestazione della società». Ed ecco come, in una società molto esposta e mediaticamente spettacolarizzata come l’attuale, la dignità assuma il valore di «egoismo quotidiano» contrapposto al «bene di una comunità» ha ragionato il cantautore supportato da Caccamo che ha evidenziato come, oggi, soldi e potere abbiano «annullato la dignità dell’uomo».
Il giornalista Rai Riccardo Giacoia ha invitato tutti a prendere atto della straordinarietà della presenza di Baglioni a Palmi esortando a proseguire nell’organizzazione ventura del Festival «tenendolo stretto» porgendogli l’assist per spiegare «la diversa spremitura di cuore» che lo ha convinto, ammirando la sconfinata bellezza di questa terra, ad accettare un invito tanto curioso quanto interessante. Non un Festival della legalità, dunque, ha rimarcato il giudice Salvati che rilevando «qui, come nella vita, la compresenza degli opposti» ha chiesto ai prestigiosi ospiti, sul finale in crescendo, quale possa essere la strada per uscire dall’individualismo.
E se Caccamo si è rifatto alla massima evangelica della corresponsione dell’amore vicendevole, Baglioni, più seraficamente, ha chiosato: «Amare il prossimo vuol dire anche amare il prossimo che arriverà, amando il futuro. Perché l’integrazione è essere sicuri che domani sarà meglio di oggi».