Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Pino Sciarrone:
Non è consuetudine nella nostra città guarnire una piovigginosa serata d’inverno del gusto di una rappresentazione teatrale particolarmente brillante, non è più così frequente lasciarsi andare in dirompenti risate abilmente provocate da registi e attori attingendo con zelo ai trucchi del mestiere: la parola “storpiata”, i doppi sensi, le reazioni improvvise, i colpi di scena e quant’altro.
Alla fine, tra chi si è scialato di risate, chi ha riflettuto sul messaggio sociale, ancorchè culturale, e chi si è guardato intorno per rendersi conto di chi ci fosse fra gli spettatori, l’evento si è concluso non prima di un galante e generoso scambio di complimenti sopra e sotto il limen e il doveroso battimani, prima spontaneo e abbondante, poi “stirato” dalla prassi del commiato.
“E’ stato un momento di cultura!” Giustamente, questa è stata la frase più gettonata. Tornati in auto, prima di guadagnare le mura domestiche, il mio caro interlocutore, che chiamo Caio, persona, come al solito egregia, affonda, cinico, il dito nella piaga.
Guarda caso, prima del suo slalom dialettico, sale su in cima alla vetta, nè più nè meno che nello stesso sito mentale in cui anch’io già mi trovavo! Sic! Ma cultura non significa coltivare? Si, Caio, col conforto del Treccani cultura è un derivato di “colere” e significa coltivare.
Cultura è la stessa cosa. Senza scendere in superflue distinzioni di campo una cosa è, secondo me, sostanziale: cultura è produrre! Visto che fra i tanti escamotages da me utilizzati per “appianare le fosse”, mi sono anche adoperato a produrre una discreta quantità di olio biologico extravergine di oliva, Caio con l’aria del finto tonto mi dice: se tu l’olio prima non lo produci come si fa a consumarlo dopo? Ed io, andando a parare con complicità rispondo: consumiamo l’olio degli altri! E Caio, compiaciuto, aggiunge: “però, non può essere così buono come il nostro!” La storia è lunga.
Io dico che noi, un tempo magno-greci e dotati di un corredo genetico non ancora del tutto privo di estro, di arte, di intuito e di voglia di produrre, siamo stati sistematicamente costretti dagli eventi storici ad una sorta di “fermo biologico”. Santo Gioffrè, in Artemisia, puntualizza come i signori di quel tempo narrato, imponevano ai contadini di produrre solo “olio lampante”. Combustibile per lampade! E pensare che già più di cinque secoli A.C. i nostri antenati della Magna-Grecia fra le molteplici varianti di olio prodotto avevano in primis l’olio estratto dalle olive ancora verdi, citato in latino col nome di “oleum ex albis ulivis”, pregiatissimo!
Mi viene la pelle d’oca, pensavo fosse “un’invenzione moderna”! Vogliamo riflettere su queste cose? Vogliamo riconoscere che le nostre spontanee industrie già nell’800 sono state spazzate via dal vento del nord? Ci vogliamo rendere conto, una per tutte, che lo stesso Garibaldi è stato strumentalizzato da Cavour e company per rendere ancora più pletorico il Regno Sabaudo succhiando il sangue rimasto nelle vene della gente del sud? Riusciranno i “nostri eroi” a portarci via anche il senso dell’arte confondendolo con opere insulse e prive di contenuto? Riusciranno ad annichilire quel senso del mito che è vivo e ancora oggi si respira nelle nostre contrade deturpate e inquinate al fine di un ennesimo progetto di danno ambientale?
Forza, miei cari conterranei, respiriamo profondamente, riscopriamo tutte le nostre antiche risorse, impadroniamoci dell’autostima che ci è stata sottratta, rimbocchiamo le maniche, riprendiamo la nostra cultura, ritorniamo a produrre.
Pino Sciarrone