PALMI – Oltre 300 kg di eroina alla settimana transitavano dallo scalo di Gioia Tauro, grazie alla compiacenza di alcuni militari della Guardia di Finanza. Coca che, neanche a dirlo, era gestita direttamente dalla potente famiglia Pesce di Rosarno.
Parla Salvatore Facchinetti, il collaboratore di giustizia sentito in video conferenza nell’ultima udienza del processo “Al Inside”, in corso di svolgimento dinanzi alla corte penale del Tribunale di Palmi, processo che assume sempre più le tinte di un pericoloso racconto che vede coinvolti in prima persona i Pesce ed una sequela di persone che obbedivano ai loro comandi.
La droga arrivava nascosta all’interno dei container; veniva portata fuori con i camion di alcune ditte, anche queste riconducibili alla famiglia Pesce. Una volta portata a Rosarno, la droga veniva suddivisa ed iniziava a circolare. Nella Piana ma non solo. La droga oltrepassava i confini pianigiani e arriva al nord. Milano era la piazza privilegiata.
I militari della Guardia di Finanza sapevano tutto, secondo Facchinetti. Sapevano della droga, delle truffe all’Ue.
L’uomo ha anche raccontato che tutto il territorio di Rosarno era diviso in zone di competenza, controllate dai Pesce e dai Bellocco e che nessun atto criminale poteva essere compiuto senza il permesso del boss ”competente”. Sistema che è uguale in tutta la Calabria, tanto che lo stesso Facchinetti, per alcune rapine compiute in altre citta’, aveva dovuto versare il 50% del bottino al boss della zona.
Facchinetti ha poi affermato che dopo l’arresto degli ”anziani” della cosca, il controllo di tutte le attivita’ era passato in mano a “Cicciu Testuni”, quel Francesco Pesce arrestato il 9 agosto scorso all’interno di un bunker nel quale si nascondeva dopo una latitanza di oltre un anno.
Viviana Minasi